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Poesie da voi
Invito per l'uccisione del maiale

1
Mi vennero ad invitare
se sapessi per che fare...
Alcun mi prenderanno
per un boia o per un tiranno...

2
Il giovedi ne venne uno
il venerdi non si vide alcuno
quando fu il sabato sera
in una notte buia e nera

3
che pioveva e nevicava
a casa mia un tal bussava.
Mi affacciai e osservando
riconobbi Ferdinando.

4
Dissi a lui: " Tu hai bussato?
E come mai non sei entrato?"
Rispose "Ho fretta, debbo andare...
Domattina non mancare!"

5
Fu di sì la mia promessa
ma io credevo andare a Messa!
La domenica mattina
venne su il figlio Pierino

6
Con i piedi e col bastone
picchiò forte al mio portone
'si confuso mi destai
alla finestra mi affacciai

7
"Che è successo, che volete?"
"Come, Voi non lo sapete?
Presto! Presto! Non tardare!
C'è il maiale da ammazzare!"

8
"Ma vai figliolo,
vattene in pace, che io a far
questo non son capace..."
Esclamai a Pierino:
"Che m'hai preso p'assassino?!?

9
Non ti vergogni o sei matto?
io ammazzarlo?!
E che mi ha fatto?!?"

Lo scrivente
Baroni Olimpio  - Pescara del Tronto

La poesia fu scritta in occasione dell'invito per l'uccisione del maiale che giunse allo scrivente da parte del cugino Lalli Cafini Ferdinando, padre di Pierino.  Secondo l'usanza dell'epoca  ogni famiglia acquistava il maiale l'11 novembre, alla fiera di  San Martino di Accumoli. Il maiale veniva poi ucciso durante le festività natalizie dell'anno successivo a quello dell'acquisto. L'uccisione del maiale era un'occasione di lavoro e contemporaneamente  di festa in cui tutto il parentato si riuniva; gli uomini si dedicavano alla macellazione  e le donne alla cucina delle carni e alla preparazione di un pranzo per tutti gli invitati. Proprio durante il  'pranzo del maiale' a  casa di Ferdinando, la poesia  appena composta fu letta da Olimpio per il divertimento di tutti i presenti.



Il santissimo carnevale

Carneval non te ne andare
                         Che ti debbo ricalzare                          
Tu sei pieno d'allegria
E noi ti famo compagnia
                     Notte e giorno volentieri                      
Colla vasa e col bicchiere
                                Tu "Santissimo Carnevale"                               
Protettore del boccale
Ci proteggi le famiglie
Co li fiaschi e le bottiglie
Di marsala e vino cotto
                 Per il freddo un bel cappotto.                 
Tutti restano confusi
Con salsiccie e scroccafusi
I maccheroni e le crispelle
Ci riempiono le budella.
                                                              Vita bella, non c'è male                                                                   
                 Viva sempre il Carnevale!                     
" Voi compagni cosa fate? "
         " Noi facciamo le mascherate! "          
Abbasso la malinconia
Viva sempre l'allegria.
Attenti, non sbagliate
Quando il valzer ballate,
                                 ballate non con tutte...                                
colle belle e non le brutte.
La donna bella è quel che vale
Viva sempre il Carnevale.
Vada al diavolo la campagna
                                         Viva sempre la cuccagna.                                       
A Quaresima, la canaglia,
gli dobbiamo far battaglia
perché indossa il velo sacro
e ci fa mangiar di magro.
La gettiamo per le scale
Viva sempre il Carnevale!

Lo scrivente
Baroni Olimpio  - Pescara del Tronto

La tradizione del Carnevale era particolarmente sentita a Pescara e in tutti i Paesi vicini. Occasione di festa e di incontro, le giornate di martedi grasso, giovedi grasso, sabato e domenica di Carnevale venivano onorate con abbondanti bevute e una cucina  povera ma squisita, fatta di salsiccie, crespelle, scroccafusi, pizze fritte, ravioli di castagne; gruppi di ragazzi e bambini mascherati attraversavano il Paese bussando alle porte in cerca di dolciumi, frutta secca, castagne arrostite e tutto quanto  le famiglie potevano offrire. Anche gli adulti partecipavano ai festeggiamenti con travestimenti improvvisati, sorprese e scherzi fantasiosi a vicini di casa e amici. La sacralità di questa festa pagana era talmente degna di rispetto che chiunque venisse  sorpreso a lavorare il giorno di Carnevale veniva legato con una corda e messo in ridicolo trascinandolo in giro per le strade del paese. Il malcapitato, per farsi perdonare, doveva invitare tutti a casa sua offrendo vino e dolci.


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Sei arrivato...

Quando...l'ansia di arrivare ti scuote dentro,
il corpo freme e la mente viaggia già lontano.

Quando...arrivi e l'aria fine, pungente, ti circonda,
senti l'odore del fumo dei camini, entrarti dentro.

Quando...un cielo di un color turchese intenso,
ti rilassa lo sguardo e l'anima.

Quando...per la strada le persone ti vengono incontro
a stringerti la mano e ti si stringe anche il cuore.

Quando...tutto intorno la natura ti guarda e ti offre,
spettacoli che non dimenticherai mai.

Quando...i funghi del bosco ti corrono incontro,
e delicatamente ne senti il profumo di terra.

Quando...i rintocchi di una campana ti fanno tornare
alla mente scene di vita contadina festante.

Quando...affaticato e stanco da una lunga giornata,
bevi l'acqua della fonte e ti si gela il corpo e lo spirito.

Quando infine...la sera intorno al fuoco, scoppiettano
rami secchi e caldarroste, fuori nevica lentamente,
l'allegria degli amici ti fa sentire vivo e felice.

Quando...senti tutto questo...sei arrivato...sei a casa...
sei a PESCARA.

Manfredo

PS: Non vi rimanga in mente come l'ho scritto, ma solo come l'ho sentito.

Naturalmente l'invito è: ognuno di voi scriva come... sente Pescara, grazie.


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Poesia indiana

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere:
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre,
ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo.

Ti auguro tempo perchè te ne resti: tempo per stupirti
e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull'orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare,
non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo....tempo per la vita.


Inviata da Luciana Masciarelli

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Spero vi piaccia questa poesia

Pescara dolci note
di acqua
Pescara di sassi e fatiche
storie di padri
favole antiche
pescara di case
aggrappate l'una all'altra
come sorelle o amiche.
Pescara profumo
d'infanzia e ricordi
muri di pietra
caldi tramonti.
Pescara
ridente di verde
e di aria frizzante
pungente di gelo
in notti d'incanto
pescara di un tempo
perduto e ritrovato
limpido cielo
fiori di prato
Pescara di silenzio
e neve
dipinta d'autunno
e di primavera lieve
Pescara lontana e presente
un'emozione che ti sorprende!!

Ho espresso in parole quello che altri hanno espresso con foto

Inviata da Eidi

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La giovane amata

(A dieciotto anni compilai il seguente versetto in occasione che si sposò la giovane tanto amata
ossia il primo amore, durante il tempo che lo scrivente era in America - Anno 1899)

1
Là nelle Marche chiamato Pescara
Ove io naqui in fra le valli oscure
Monti d'ogni lato ed acqua chiara
Che sorge in fra li fossi e nelle pure,
Arie fresche, oh, che gioir
Donan la forza e un bel respir

2
Abbondanza d'ogni generi vi regna
Frumento, cereali, vari frutti
Con boschi su nell'alto da far legna
Onde l'Inverno riscaldarsi tutti
Tronca un ruscello nella metà
E il fiume Tronto all'estremità

3
Vi sono donne che la sua bellezza
Trapassano del sole i suoi raggi
Che scendono quaggiù da tanta altezza
Sol nel mirare si provano oggi
Mai ti sazi nel rimirar
La sua bellezza e la gran nobiltà.

4
Quand'io ero all'età di quindici anni
N'amavo una appassionatamente
Sospiri fe' per essa e tanti affanni
Dopo che mi fu tolta cecamente
Ero in America quando un bel dì
Con l'altro giovane se ne fuggì

5
Ora ti debbo dir che hai fatto fallo
Fuggir con un tale che non amavi punto
Ti seppe ben confonderti nel ballo
Chissà quante menzogne t'abbia assunte
Finché piegasti al suo voler
Io ero ignaro senza saper.

6
Tento tutti gli sforzi a darmi pace
Persino che mi sono annichilito
Recarmi in terra natia mi dispiace
Sicché sono costretto stà in quel sito
Ove mi trovo a tribolar
Passando la vita con poco mangiar.

7
Un solo amico ho che mi consola
Schiavoni è il suo nome, poverino:
"Amico non ti lagnar del mal destino
Tu sei giovane puoi sperar
Che un'altra giovane potrai trovar"


Lo scrivente  
Baroni Olimpio  - Pescara del Tronto


La Poesia narra dell'amore adolescenziale dello scrivente per una bellissima giovane di Pescara che, a seguito dell'abbandono da parte del Poeta, costretto, come molti altri suoi coetanei,  ad emigrare in America in cerca di maggior fortuna, sceglie di fidanzarsi con un altro. Quando la notizia giunge in America, il Poeta, ormai diciottenne, esprime la sua tristezza nei versi che seguono, la cui bellezza risiede non tanto nella descrizione  dell'amore per la fanciulla, quanto in quella, affettuosa e nostalgica, del Paese natìo, i cui suoni, profumi e atmosfere rivivono con straordinaria e toccante intensità nelle prime due strofe.


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L'inverno del 1929 nella valle del tronto


1
Cari lettori miei s'ascolterete
vi voglio dell'inverno qui narrare.
Quanto fu triste lo ricorderete
e quanto danno ci venne a recare.
Specie nei fabbricati  - pieni zeppi caricati -
sia maledetto!
A tanti s'è sfondato pure il tetto.

2
Chi l'avesse creduto che quest'anno
veniva così trista l'invernata?
Senza farcelo dir  - tutti lo sanno -
l'intera umanità s'era stancata
a veder tante famiglie con l'aspetto nelle ciglia
da far paura
come fossero state in sepoltura.

3
Quando entrò il mese di gennaio
solo a pensarci ci facea paura
eppure non è stato un usuraio,
quel che è lui, fe' buona figura.
Facea qualche burrascata durante la nottata.
Il giorno poi
si puol dir che se ne stette ai fatti suoi;

4
Quando al dì 31 fu arrivati
nessuno si potea saziare
per gioia che febbraio era entrato.
Le genti si sentivano esclamare:
" Febbraio avremo domattina,
non più neve e non più brina! "
Ma il mutilato!!!
Ci tenne ventotto giorni carcerato!

5
Cattivo un giorno e l'altro ancor più triste;
non si vedeva mai il cielo stellato
e forse per punirci Gesù Cristo
puranche l'influenza ci ha mandato.
Una vera carneficina! Né dottor né medicina!
Tanti e tanti
guardiani son passati ai camposanti.

6
A veder tante famiglie che mancava
carbone e legna per poter fa' il fuoco;
se qualcuno al vicino le cercava
questo gli rispondeva: " Ne tengo poco...Se
quest'aria ancora dura temo la mia creatura
Iddio volesse
se salvarla dal freddo dal potesse"

7
Le strade principal tutte bloccate
le vivande mancavano alla vita
che l'orzarol l'aveva ultimate
e il magazzino rimasto pulito.
Si facea vita da turco  - non più grano né granturco -
ancor peggio il male:
per la polenta non ci stava il sale.

8
Quando entrò marzo si diceva:
" Ora siamo arrivati a primavera "
anche questo  ( e pur non si credeva )
mostrarsi volle con più brutta cera:
acqua e neve mescolata  -  meglio era la gelata -
cose strane
gonfiavano i fossi e giù le frane.

9
A Pescara fra l'altro è successo:
la corrente elettrica interrotta.
Le conseguenze le sentite appresso
tre settimane ha durato la lotta.
Era tanto il tribolare non potendo macinare.
L'illuminazione:
chi aveva una candela era un riccone.

10
Venne il capozona ad osservare,
restò meravigliato di stupore
quando il tutto venne a constatare:
bruciato s'era il trasformatore.
Esclamò: " Tocca aspettare
Per poterlo riparare ",
...il grosso guasto...
Or ditemelo voi che c'è rimasto!

11
Nel comun di Montegallo ancora peggio:
in un paese abbastanza piccino
una valanga di neve fece sfregio;
seppellì varie case, anche un mulino.
Il grosso guaio
è toccato alla famiglia del mugnaio.

12
Accanto al Vettore ci sta un paesuccio
che farà parte del comune di Norcia;
nominato l'hanno Castelluccio
fabbricato sta sopra una roccia.
Quel che avrebbe riferito  uno sciatore molto ardito
che c'era andato...
Se salvo ritornò fu fortunato.

13
Lo sciator restò meravigliato
vedendo che il paese era sparito;
in vari punti ebbe calcolato
otto metri di neve ha riferito.
Senza far caricatura  - il giornale l'assicura -
letto l'avrete
vi potete informar se non credete.

14
Una donna che era a perder la vita
venne dalla milizia salvata.
La casa era talmente seppellita
per la gran neve ch'era cascata.
Quando rivide il cielo aperto
raccontò che aveva sofferto
gran dolore
sepolta viva per quarant'otto ore

15
Cesso l'inverno e prendo un'altra cosa:
potessero venir calde l'estate
per poter smerciare la mia gassosa.
Raccomando lettor che la comprate
che ognuno si assicuri la nota dicitura
"In forma chiara
Rinomata Sorgente di Pescara"

Lo scrivente  
Baroni Olimpio  - Pescara del Tronto


La poesia descrive le conseguenze della terribile invernata del 1929 su Pescara e su alcuni dei Paesi vicini, da Montegallo a Castelluccio. Vengono riportati reali fatti di cronaca,  alcuni anche piuttosto impressionanti, verificatisi a seguito della straordinaria quantità di neve che cadde in quei mesi. Ne emerge un realistico spaccato delle dure e difficili condizioni di vita degli abitanti di questi luoghi in quei tempi lontani,  che mette in rilievo la resistenza e la forza interiore di queste popolazioni, da sempre abituate alla lotta e al sacrificio da una natura che spesso si rivela ostile ed avversa. I toni di tristezza che aleggiano in tutta la poesia si aprono alla serenità  e all'ottimismo con il lieto riferimento all'Estate contenuto nella strofa finale in cui il Poeta, quasi moderno sponsor di se stesso, richiama all'acquisto del prodotto della sua fabbrica, la gassosa della 'Rinomata sorgente di Pescara'.


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Ricordi pescaresi

O Pescara dell'età mia,
amici sparsi di qua e di là,
la ricordate quanta poesia
vivemmo insieme tanti anni fa?
Quando venivo a "cantà a gliagliò"
presso le sponde de "gliù Cavò".

Era passata la guerra infame
a tormentare l'umanità;
c'erano ancora miseria e fame,
ma c'era anche la verde età:
e cantavamo tutti "a gliagliò"
presso le sponde de "gliù Cavò".

Checco, Carlino, Ivo, Loreto,
Marco, Trieste, Trento, Battista,
Giorgio, Tonino, Romano, Cleto...
Sarebbe lunga tutta la lista!
L'eco di ognuno canta "a gliagliò"
presso le sponde de "gliù Cavò".

Aspro vinello delle cantine;
balli e baldorie di serenate;
dolci sorrisi di morettine;
condanne a morte...di braciolate
e, canti, canti, canti, "a gliagliò"
presso le sponde de "gliù Cavò".

O Pescaresi dell'età mia,
amici sparsi di quà e di là,
io vi ricordo con la poesia
che ci cullava tant'anni fa:
quando venivo a "cantà a gliagliò"
presso le sponde de "gliù Cavò".

Enzo Tavoletti - (ottobre 1971)

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L'albere gineculoggiche

Jìra zi' Giacume
nen m'ha cunvinte
che ci sta l'àlbere
de li parinte...

I' che quist'àlbere
nne' lu chenòsche,
vulì 'nfurmàmmene
da 'n guardiabbosche....

<<Fors'è 'nu plàtane
-ìsse ha rispuste-
s'i bbòna tròvelu
pe' cquisti puste!

E' pianta sòtica...
Me n'arencresce,
ma 'n queste schiòppera
nen ce pò cresce>>.

Nen è pussibbile
(i' jì penzenne)
che 'n pòzza èssece
chi se ne 'ntenne...

Difatte Nìbbele,
struite e lòggiche,
m'ha ditte: E' l'àlbere
gineculòggiche!

addù s'appìcchene
dagli antenati
finenta agli ùlteme
che semme nati;

e se ramifica
chen tutti quìgli
che quanne spòsene
fanne li figli.

Lu capestìpete
presèmpie è Urlande,
le cime Asdrùbbele,
Rocche e Rulande...

Più cunsanguìnie
vinghe a 'stu munne,
più cresce flòride,
ramuse e tunne.

Dura pe' sèculi
'sta pianta umana:
più màschie naschene
più s'alluntana;

però se mànchene
te fa cilecca...
chen tutte fèmmene
pìglia e se secca>>!!

Enzo Tavoletti (settembre 1977) - Inviata da Ivana

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Parla cumme t'ha fatte mammeta

Quann'era munìglie
e stava a 'mparà
'sta lingua materna
che sacce parlà
pe' tutte lu ggiurne
sfurzava la mente
annenz' a 'nu bbanche
chiamate bbidente.

Me dava lezzione
'nu prufessurone
ch' avì studiate
lu scine e lu none;
e nen ze straccava
de stamm' a spiegà
fra tutti li verbe
lu "jì" e lu"fà":

-Per dire <<tu vai>>
si dice: tu vè;
per dire <<tu fai>>
si dice: tu fè.
Per dire che <<andiamo>>
si dice: nù jìmme;
per dire <<facciamo>>
si dice: facimme.

Per dire che <<andrei>>
si dice: jarrì;
per dire <<farei>>
si dice: farrì.
Per dire che <<andremmo>>
si dice: jarramme;
per dire <<faremmo>>
si dice: farramme...

Parlenne e spieghenne
lu "fa'" e lu "jì",
'llu prufessurone
me fece capì',
che chi nen chenòsce
la lingua materna
de loche addù è nate,
fenìsce all'inferna...

Pe' cqueste la cerche
de scrive' e parlà'.
perchè l'infernaccia
la vòglie evità'.
so' quasce sicure:
lu sò calculate,
che quìgliu è nu puste
'n pu' tropp' affullate.

Enzo Tavoletti (febbraio 1973) - Inviata da Ivana

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Lu pedu'cchie arefatte

A fforza d'arrubbàs'è ffatte ricche,
se sente 'n persunagge de riguarde...
te 'ncontra e nen te degna de 'nu sguarde,
nen te saluta manche se te 'mpicche.

Quanne se mette lu vistite scicche
nen pare più lu figlie de Liunarde,
cammina dritte cumme 'nnu stennarde
e aressumiglia tutte a Menelicche.

Jìra però l'urgòglie l'ha abbassate:
siccome era cascate da cavalle,
gridava:<<Aiute! Me so' arruvinate!!!>>.

Allora 'Ndùnie che ce ss'è 'ncuntrate,
gli-ha bbattute lu ferre calle calle:
<<Finalmente lu fiàte t'è scappate!...>>.

Enzo Tavoletti (luglio 1975) - Inviata da Ivana

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Guirrine lu mischine

Chebbìglie nome quìgliu de Guerrine!
addù lu truve 'n àtre accuscì bbìglie?!
Se mògliema facesse 'n àtre fìglie
glie mettarrì 'stu nome senzamine...

Guirrine fu 'n guerriere supraffine,
che jì girenne cumme 'nu cifrìglie,
finchè nn'arretruvò lu nnascunnìglie...
e stedde 'n anne tra le Fate Alcine.

Da quelle fu tentate...e nen ce fu
manira de ptellu mai 'ncantà;
quìgliu nen era 'n òme cumme-nnù!..

Se a-ppuste d'ìsse me truvava i' ,
chen certe Fate cumme-cquelle llà...
era frecate. E chi putì arriscì'!!!

Enzo Tavoletti (luglio 1968)- Inviata da Ivana

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Semme cuggini...

Pe' te è difficile...
nen te capàcità,
eppure è semplice
ìcche cumm'è:
Nùnnete e nònneta
fìcere partete,
pàrtete e màmmeta
fìcere a-ttè
più tarde zìjeta,
surella a pàrtete,
spusenne pàtreme
me fece a-mmè.
Doppe nascìrene
fràteme e sòrema;
perciò tu càlcula
che tutt'e tre,
nati da zìjeta
surella a pàrtete,
sarremme in pratica
cuggini a-ttè.

Enzo Tavoletti (agosto 1962) - Inviata da Ivana

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